A., in effetti, mi somiglia un bel po’. Sì, bé, diciamo che abbiamo molte cose in comune. Ecco, magari A. in questo periodo c’ha un po’ più di culo: insomma, non capita tutti i giorni di incontrare un potenziale amore eterno in libreria. Prendete me: io, in libreria, ci passo un numero piuttosto consistente di ore, eppure non ho mai beccato un cazzo, a parte qualche vecchia rompi coglioni che non riesce a raggiungere la biografia di Lady D, che è proprio lì, in fondo, sul ripiano più alto. Sugli autobus già un po’ meglio, sì, anche se poi dipende dai punti di vista. E poi, voglio dire, se la incontri in libreria, a meno che non sia passata solo per comprare un regalo, significa che qualche libro ogni tanto lo legge. E comunque anche se fosse lì solo per comprare un regalo, non sarebbe male lo stesso: io amo chi regala libri. Ecco, l’importante è che non si metta a fissare le classifiche dei libri più venduti. No, davvero, io quegli scaffali, con i numeri sopra, li odio. E poi che gusto c’è a leggere quello che leggono tutti?

Però, culo a parte, io e A. ci somigliamo davvero in modo impressionante. Per esempio, anch’io qualche anno fa ho fatto un viaggio con tre amici e un camper. E amo, profondamente amo, andare in discoteca a farmi violentare il cervello da quintali di note assordanti. Per non parlare del mio rapporto con i calzini: ne ho quindici, a volte tredici, mai quattordici, di cui nove bucati e un paio della stessa tonalità di blu.

A., insomma, è una comoda finzione. Parlo di me, ma quando voglio smetto, senza dirlo a nessuno. La linea di confine tra realtà e finzione non è mai netta, e francamente spesso sfugge anche a me. Mi muovo su un terreno ambiguo, e le parole sono riflettori che illuminano quello che mi fa comodo. È luce che si spegne in fretta, per il resto qualche ombra e angoli neri come la pece. Non è molto diverso da un primo appuntamento, o da una foto scelta tra tante: seleziono accuratamente quello che voglio mostrare, indosso la maschera preferita o, solo, quella più adatta al momento. Gioco con le impressioni degli altri e con la mia vanità, sperando che talvolta coincidano. Non è corretto, lo so. Ma la sincerità non va sopravvalutata: troppo spesso è solo una promessa che si perde per strada, una dichiarazione di intenti gettata lì nella fretta di conquistare chi guarda, legge o ascolta. Un po’ come quando inizi una barzelletta annunciando che “questa fa davvero ridere”, e poi alla fine non ride nessuno. Io non credo nella sincerità, e nemmeno nella verità, tanto meno se rivelata. A dirla tutta non credo nemmeno tanto nella libertà, ma poi sembra che io ce l’abbia con tutti i valori che finiscono in tà. E non è così: alla pubblicità, per esempio, io ci credo per davvero.

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